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Domenica 15 Dicembre: Beato colui che non trova in me motivo di scandalo

pubblicato da admin il Ven, 12/13/2019 - 09:30

 Tiepolo. Giovanni Battista predica alle folle.

Vangelo e letture

Prima Lettura

Is 35, 1-6. 8. 10

Dal libro del profeta Isaìa
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Seconda Lettura

Gc 5, 7-10

Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Vangelo

Mt 11, 2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Commenti

Commento di padre Ermes Ronchi

Sei tu, o ci siamo sbagliati? Giovanni, il profeta granitico, il più grande, non capisce.
Troppo diverso quel cugino di Nazaret da ciò che la gente, e lui per primo, si aspettano dal Messia. Dov'è la scure tagliente?
E il fuoco per bruciare i corrotti?

Il dubbio però non toglie nulla alla grandezza di Giovanni e alla stima che Gesù ha per lui. Perché non esiste una fede che non allevi dei dubbi: io credo e dubito al tempo stesso, e Dio gode che io mi ponga e gli ponga domande. Io credo e non credo, e lui si fida. Sei tu? Ma se anche dovessi aspettare ancora, sappi che io non mi arrendo, continuerò ad attendere. La risposta di Gesù non è una affermazione assertiva, non pronuncia un “sì” o un “no”, prendere o lasciare.
Lui non ha mai indottrinato nessuno. La sua pedagogia consiste nel far nascere in ciascuno risposte libere e coinvolgenti. Infatti dice: guardate, osservate, aprite lo sguardo; ascoltate, fate attenzione, tendete l'orecchio. Rimane la vecchia realtà, eppure nasce qualcosa di nuovo; si fa strada, dentro i vecchi discorsi, una parola ancora inaudita.
Dio crea storia partendo non da una legge, fosse pure la migliore, non da pratiche religiose, ma dall'ascolto del dolore della gente: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi guariscono, ritornano uomini pieni, totali. Dio comincia dagli ultimi. È vero, è una questione di germogli. Per qualche cieco guarito, legioni d'altri sono rimasti nella notte. È una questione di lievito, un pizzico nella pasta; eppure quei piccoli segni possono bastare a farci credere che il mondo non è un malato inguaribile.
Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della terra con un pacchetto di miracoli. L'ha fatto con l'Incarnazione, perdendo se stesso in mezzo al dolore dell'uomo, intrecciando il suo respiro con il nostro. E poi ha detto: voi farete miracoli più grandi dei miei. Se vi impastate con i dolenti della terra. Io ho visto uomini e donne compiere miracoli. Molte volte e in molti modi. Li ho visti, e qualche volta ho anche pianto di gioia.
La fede è fatta di due cose: di occhi che sanno vedere il sogno di Dio, e di mani operose come quelle del contadino che «aspetta il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5,7). È fatta di uno stupore, come un innamoramento per un mondo nuovo possibile, e poi di mani callose che si prendono cura di volti e nomi; lo fanno con fatica, ma «fino a che c'è fatica c'è speranza» (Lorenzo Milani).
Cosa siete andati a vedere nel deserto?
Un bravo oratore?
Un trascinatore di folle?

No, Giovanni è uno che dice ciò che è, ed è ciò che dice; in lui messaggio e messaggero coincidono.
Questo è il solo miracolo di cui la terra ha bisogno, di credenti credibili.

                                                                        

Commento di Enzo Bianchi al Vangelo della II domenica di Avvento

La seconda domenica di Avvento ci pone in contatto con la figura di Giovanni Battista. Figura che nei vangeli è ancillare nei confronti del Messia, del Veniente, tanto che il Battista è chiamato “precursore” in rapporto appunto a colui che viene “dietro” a lui (Mt 3,11 usa un’espressione che normalmente indica la sequela, quasi a indicare il discepolato di Gesù nei confronti di Giovanni: Mt 4,19;10,38; 16,24): quel Gesù che il Battista dichiara essere detentore di un potere maggiore e portatore di una missione ben più radicale e decisiva rispetto alla sua. Giovanni è colui che sa diminuire, sa cedere il passo a un altro.

“In quei giorni sopraggiunge Giovanni, il Battista” (Mt 3,1): è la prima menzione di Giovanni nel Vangelo secondo Matteo. Egli compare in scena solo ora, improvvisamente. Narrativamente è una sorpresa. C’è un inizio, un cominciamento, di cui Giovanni si fa protagonista. L’indicazione “in quei giorni” è molto generica e non vuole stabilire una sincronia con ciò che è detto prima (dove si parla di Gesù ancora bambino portato dai suoi genitori a Nazaret ritornando dall’Egitto). Si tratta piuttosto di una cronologia teologica che, riprendendo espressioni analoghe presenti nei profeti (Zc 8,23 lxx; Ger 38,29 lxx; Gl 4,1 lxx), indica i tempi messianici, il tempo del compimento dei tempi, i tempi ultimi. Il Battista stesso viene presentato come compimento scritturistico. Letteralmente: “Egli è colui che fu detto per mezzo del profeta Isaia” (Mt 3,3). Di Giovanni, Matteo sottolinea il fatto che predica. “Venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea”. Giovanni è presentato come uomo della parola, più che come battezzatore, come avviene invece nel Vangelo secondo Marco in cui anche la predicazione è totalmente tesa al battesimo (“proclamava un battesimo di conversione”: Mc 1,4).

Matteo accorda rilievo particolare alla predicazione: per lui Giovanni è un profeta, un uomo della parola, abitato dal rigore della parola. La sua ascesi, sottolineata dal suo abito, che è l’abito semplice e rude dei profeti, e il suo cibo essenziale e povero, lo hanno reso un asceta della parola. Chi va all’essenziale ritirandosi nel deserto, chi si lascia istruire dalla solitudine e dal silenzio, chi si misura sull’essenziale del proprio corpo, dunque del cibo e del vestito, viene anche ricondotto all’essenziale umano costituito dalla parola. E la povertà e il rigore del suo vivere gli consentono la libertà della parola che si presenta forte, coraggiosa, perfino aspra. Sempre la povertà è custode della libertà e del coraggio. Il coraggio caratterizza il Battista, uomo che dà inizio a qualcosa di nuovo. E il coraggio è la capacità di dare inizio, è la virtù del cominciamento, di osare iniziare qualcosa anche quando questo è rischioso e mette a repentaglio qualcosa di sé e perfino la propria vita. Giovanni ha osato compiere una scelta e andarvi fino in fondo, percorrendo la via intrapresa fino alle estreme conseguenze, con una perseveranza coraggiosa. Capacità di osare un inizio, il coraggio diviene anche forza di resistere e perseverare nell’opacità del quotidiano, di dare continuità a ciò che si è iniziato.

C’è un coraggio della normalità e della quotidianità, molto più costoso del coraggio dell’istante, dell’atto coraggioso ma slegato da una durata. Giovanni ha operato una scelta contrastata, costosa, sofferta, una scelta di marginalità, di migrazione nel deserto: lui che era di stirpe sacerdotale e il cui padre officiava al tempio di Gerusalemme (cf. Lc 1,5-25), ha preso una decisione di rottura con un ambiente più centrale e importante, per andare nel deserto. Ha operato una scelta che implicava un giudizio su ciò che egli lasciava. Un po’ come avveniva per i membri della comunità di Qumran che abbandonavano Gerusalemme e si ritiravano nel deserto, nelle stesse zone dove i vangeli situano il ministero di Giovanni, per realizzare il programma delineato nella Regola della loro comunità di “separarsi dagli uomini dell’ingiustizia per andare nel deserto a preparare la via del Signore come sta scritto: ‘Nel deserto preparate la via del Signore, appianate nella steppa un sentiero per il nostro Dio’”.

E come ogni decisione coraggiosa, anche quella di Giovanni viene presa nella tenebra, nel buio, nella notte, ma diviene poi una luce per molti, sprigiona la forza di un fiat lux, di indicazione di una via da percorrere per molti. Come avviene qui, dove Giovanni arriva a popolare il deserto facendovi accorrere folle da tutte le parti (Mt 3,5). Il coraggio emerge anche nella solitudine di Giovanni. Il coraggioso osa dire di no, non conformarsi, anche di fronte ai potenti. Come farà Giovanni la cui parola franca e senza compromessi rivolta a Erode gli procurerà la morte: “Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: “Non ti è lecito tenerla con te” (Mt 14,3-4).

Giovanni fa nascere dal silenzio austero in cui ha maturato le sue scelte, una parola semplice e chiara, una parresía che gli costerà la vita. Giovanni è anzitutto un martire della parola. Anche in questo Giovanni apre la strada a Gesù e al coraggio e alla parresía che Gesù manifesterà. A quella parola franca e libera che porterà chi ascolta Gesù a dire: “Mai un uomo ha parlato così” (Gv 7,46). A fronte di Giovanni, martire della parola, vi è chi uccide con le parole. Nella scena descritta superbamente da Marco, Erode con una parola leggera, non pensata, una parola da ubriaco, una parola pronunciata nel corso di un banchetto di fronte a una giovane seducente, mostra come facilmente la parola possa uccidere (cf. Mc 6,17-29). Davvero, Giovanni non solo prepara la via al Veniente, ma fa della sua intera vita la traiettoria che il Messia stesso seguirà. Fino alla morte violenta.

E il coraggio e la parresía del Battista si manifestano anche nelle parole che egli pronuncia verso sadducei e farisei. “Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo disse loro: Razza di vipere…”. Giovanni discerne l’intenzione del cuore di molti di coloro che venivano a farsi battezzare ma che non volevano accompagnare il gesto esteriore dell’immersione con il movimento della conversione del cuore. Colpisce la parola sicura di Giovanni. Come può sapere Giovanni ciò che i sadducei e i farisei pensano nel segreto del loro cuore? Giovanni agisce e parla come profeta, e proprio del profeta era il dono della cardiognosi, della capacità di leggere i pensieri, di conoscere e svelare i pensieri del cuore, come i vangeli diranno più volte anche di Gesù.

Le parole del Battista colpiscono un meccanismo ben noto a ognuno di noi. Il meccanismo dell’autogiustificazione. “Non pensate di poter dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre”, non pensate di potervi adagiare sulla sicurezza di una salvezza che si riceverebbe come in eredità, per diritto, e di non dover fare nessun sforzo di cambiamento, nessuna conversione. Per noi normalmente, nel quotidiano, i meccanismi di autogiustificazione sono più banali, e scattano di fronte a pur minime correzioni, a osservazioni anche di piccola portata. Perché? Perché mai ci sentiamo attaccati? E perché mai ci sentiamo in dovere di difenderci? E di difendere che cosa? Ovvio, un’immagine di sé, che è ciò che spesso ci sta a cuore più della nostra stessa realtà, di chi siamo realmente. L’autogiustificazione è il meccanismo con cui ci ostiniamo a non voler vedere noi stessi in verità, e preferiamo la maschera. E così ci illudiamo, illudiamo noi stessi e gli altri. E, onorando l’etimologia del temine illusione facciamo della vita e delle relazioni un gioco, un ludus.

Giovanni stronca sul nascere i pensieri di giustificazione di sé che insorgono nel cuore di coloro che vengono al suo battesimo. E la scure posta alla radice degli alberi con cui annuncia il giudizio escatologico, diviene la scure della sua parola, vera spada a doppio taglio che recide in radice le pretese di giustizia di farisei e sadducei. La parola di Giovanni qui esercita la funzione di un ventilabro, mette in crisi, ovvero esercita un giudizio, e non a caso sarà ripresa da Gesù quando stigmatizzerà scribi e farisei denunciando la loro ipocrisia: “Razza di vipere” dirà loro in Mt 23,33, come fa qui Giovanni in Mt 3,7. È vero, il giudice implacabile annunciato da Giovanni non si presenterà, verrà il Messia mite e umile di cuore, ma questo Messia avrà una parola forte e tagliente, dura e capace di portare alla luce ciò che normalmente resta nascosto. Non sarà il giudice che condanna, ma la sua parola sarà portatrice di un giudizio, un giudizio necessario per fare la verità, per uscire dai meccanismi della menzogna e dell’autogiustificazione.

Per fare la verità occorre in effetti leggere il proprio cuore e riconoscere il proprio peccato, come fanno coloro che si fanno immergere dal Battista. E che credono che la giustificazione non viene da loro stessi, ma da Dio attraverso la fede.

Commento di Enzo Bianchi al Vangelo della III domenica di Avvento

Anche in questa terza domenica di Avvento la nostra attenzione si concentra sulla figura di Giovanni il Battezzatore e sul suo affidare a Gesù la propria fede nell’ora del buio e della prova. Giovanni si trova in carcere dove è stato rinchiuso da Erode, un potente di questo mondo che non sopporta le critiche rivoltegli dal profeta circa il suo legame illecito con Erodiade, moglie di suo fratello (cf. Mt 4,12; 14,3-4). Il grande profeta, l’uomo dalla parola autorevole e impetuosa, è ridotto ormai al silenzio e si avvia verso una morte violenta (cf. Mt 14,5-12): in questa situazione di umiliazione e sofferenza «sente parlare delle opere del Cristo», del Messia Gesù. Giovanni, assiduo nell’ascolto delle Scritture, attendeva un Messia con i tratti del giudice forte e severo, che avrebbe abbattuto con la scure gli alberi infruttuosi e bruciato la pula del grano con un fuoco inestinguibile (cf. Mt 3,10-12); e invece apprende che Gesù siede a tavola con i peccatori, che prova compassione per le folle, che sembra annunciare solo la misericordia di Dio... In questa situazione di fede attraversata dal dubbio, in questo buio, Giovanni incarica i suoi discepoli di rivolgere a Gesù una domanda drammatica, con la quale mette in discussione tutta la sua vita: «Sei tu il Veniente», il Profeta-Messia degli ultimi tempi, «o dobbiamo attendere un altro?».

La risposta di Gesù riassume mediante una serie di citazioni profetiche, tratte soprattutto da Isaia, il comportamento già raccontato dall’evangelista (cf. Mt 8-9): «Riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona notizia». Questo è il compimento della Scrittura, queste sono le azioni di Gesù, Messia «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), narrazione definitiva dell’amore di Dio per tutti gli uomini! Ma Gesù aggiunge ancora una parola: «Beato chi non si scandalizza di me», ossia chi non inciampa di fronte a un Messia povero e disarmato, un Messia che annuncia sì ai poveri la buona notizia, ma che non vuole servirsi della forza per scarcerare i prigionieri (cf. Is 61,1)… Dal carcere Giovanni accoglie quest’ultima rivelazione di Gesù, la accoglie con affidamento personale e così va verso una morte ingiusta in piena obbedienza, facendosi precursore di Gesù anche in questa fine. Alle parole riferitegli, Giovanni risponde con un amen silenzioso ma pieno di amore per Gesù, comprendendo l’irruzione del Messia che fino a quel momento aveva solo intuito.

E proprio mentre Giovanni esce di scena, Gesù manifesta con grande solennità alle folle l’identità del Battista. Egli annuncia che Giovanni non è una canna sbattuta dal vento delle mode, né un potente che, avvolto in morbide vesti, sta nei palazzi del potere: egli è un profeta, anzi «è più di un profeta, è colui del quale sta scritto: “Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te” (cf. Ml 3,1; Es 23,20)». Sì, Giovanni è il nuovo Elia (cf. Mt 11,14), è l’Elia venuto e non riconosciuto (cf. Mt 17,12-13), che con la sua vita e la sua morte ha aperto e annunciato l’Esodo definitivo, la salvezza portata dal Signore Gesù.

Ecco la chiave per comprendere bene le parole conclusive di Gesù, «Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo, nel regno dei cieli è più grande di lui»: chi è il più piccolo? È Gesù, e solo lui può esserlo: il più piccolo in quanto discepolo di Giovanni, uno che è stato dietro a lui (cf. Mt 3,11), è lui il più grande nel regno di Dio, che non solo inaugura ma che impersona. Sì, noi cristiani possiamo conoscere Gesù Cristo solo passando attraverso Giovanni il Battezzatore: egli è stato il precursore di Cristo, colui che lo ha indicato e rivelato come Messia e Veniente. Se non accettiamo la sua testimonianza, grande anche nel manifestare la sua fede tentata, non potremo credere neppure a Gesù (cf. Mt 21,25-27).

Preghiera dei fedeli

Celebrante. Sulla via dell’Avvento, insieme a Maria troviamo un’altra grande figura Giovanni Battista ed anche lui ci parla di umiltà. Ma la sua è una umiltà diversa. Quella di Maria è vissuta nel silenzio della sua casa e della sua cittadina mentre quella di Giovanni è praticata e predicata alle folle che vanno a farsi battezzare sul Giordano ed è , come dice Marco , “Voce di uno che grida nel deserto”- il deserto spirituale prima che quello geografico - “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Preghiamo insieme dicendo: Rinfranchiamo i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Lettore. Ma non è facile seguire Gesù anche per uno come Giovanni abituato a leggere e meditare i profeti e quindi attendeva seguendo Isaia un giudice forte e severo, che avrebbe usato la scure e il fuoco inestinguibile; e invece apprende che Gesù siede a tavola con i peccatori, prova compassione per le folle,  sembra annunciare solo la misericordia di Dio...Gli sorge un dubbio e gli manda i suoi discepoli per un chiarimento. E Gesù risponde citando sì il profeta Isaia ma concludendo “Beato chi non si scandalizza di me”, cioè di un Messia mite e disarmato che non vuole usare la forza neanche per difendersi eo per liberare i prigionieri. Preghiamo insieme dicendo: Rinfranchiamo i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Il dubbio di Giovanni è spesso la nostra tentazione. Perché non spianare i colli e raddrizzare le strade storte con la forza delle leggi e delle strutture pubbliche di politici amici appellandoci alla fede comune?  Perché accogliere tutti anche coloro che non hanno le nostre credenze e le nostre tradizioni col rischio di fare crescere la conflittualità e rendere più difficile la governabilità? Ma siamo sicuri che una Chiesa più libera dal potere e più aperta al dialogo con le altre religiosi ci avvicini al Regno? Preghiamo insieme dicendo: Rinfranchiamo i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

La nostra vita politica ha preso il vezzo di utilizzare gli strumenti della devozione religiosa per fare propaganda – crocifissi, rosari, persino presunte rivelazioni mariane – dimenticando o non conoscendo quanto il Signore fin dai tempi antichi, parlando attraverso  profeti come Osea, ci ha messo in guardia proclamando “ Misericordia voglio non sacrifici”. Cioè, gesti di misericordia, di solidarietà, di accoglienza verso gli ultimi e gli emarginati più che sacrifici e devozioni. Preghiamo insieme dicendo: Rinfranchiamo i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Celebrante. Gesù rassicura Giovanni: si è lui l’atteso, il Messia; ma vuole rassicurare anche noi: Giovanni è un profeta, il novello Elia, il più grande fra i nati da donna, eppure nel Regno dei cieli, il più piccolo che si è fatto suo discepolo andando a farsi battezzare da lui, cioè lui Gesù, è più grande di lui e per questo può correggerlo e gli chiede di accettare un Messia mite e misericordioso. Fa o Padre che anche noi lo accogliamo così, mite e misericordioso, facendo la volontà di lui, il nostro Signore Gesù Cristo.

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