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San Bartolomeo: la festa di febbraio

pubblicato da admin il Mar, 02/03/2015 - 13:08

La ricorrenza del 13 febbraio 264 . La tradizionale asta dello stendardo

  

  

L’omelia del Parroco, don Gaetano Sardella

Siamo qui raccolti all’inizio del nuovo anno per celebrare la prima delle festività in onore del Santo Patrono: la traslazione delle Sue reliquie e l’arrivo del suo corpo nel nostro mare. Qui in Cattedrale, nella Chiesa Madre, nella città alta noi ritroviamo le nostre radici culturali e cristiane. Noi ritroviamo la gioia di essere isolani e cristiani. Ci sgorga dal cuore la preghiera biblica: “Benedetto il Signore gloria del Tuo Popolo”.

E mentre in città sfileranno i carri di carnevale noi vogliamo chiedere al Signore “la sapienza del cuore, il discernimento, perché la festa cristiana non venga banalizzata, ma sia  sempre per tutti occasione privilegiata di riflessione e soprattutto di conversione di rinnovamento della vita. L’espressione di Gesù “Ecco un vero israelita in cui non c’è falsità”. Elogio che fa grande Natanaele e deve responsabilizzare ciascuno di noi.

Una triplice fedeltà.

  1. Fedeltà alla nostra coscienza, alle nostre convinzioni, ai nostri valori. Fedeltà che allontani da noi la bugia, la falsità. “Il vostro parlare sia si si…no no… il di più viene dal maligno”. Quando la nostra devozione alla Madonna ed ai Santi è solo esteriorità e non ci riconcilia con le nostre coscienze.  Non è freccia direzionale… ma solo riti . Non è linguaggio che provoca e trascina.
  2. Fedeltà al Vangelo. Per Bartolomeo il Vangelo è stato una persona: Gesù. Vieni, seguimi…e Bartolomeo ha raccolto l’invito e si è lanciato nell’avventura della fede. Rinnoviamo anche in questa festa il nostro incontro con Gesù. Senza questo incontro la fede diventa un’idea e non una persona, e i sacramenti dei riti e non luoghi privilegiati di un incontro sempre più pieno con Gesù.
  3. Fedeltà alla Chiesa. Fa che la tua Chiesa si riveli al mondo come sacramento di salvezza. Condividere…stare- servire – rinfrancate i vostri cuori. Non disperdiamo le tante briciole che saziano. Ci conceda il Padre di aderire a Cristo.

La storia

La tradizione vuole che il corpo di San Bartolomeo arrivò a Lipari in una cassa di pietra, o di marmo, o di piombo il 13 febbraio del 264 d.C. che si accostò alla spiaggia di Portinente dove il vescovo Sant’Agatone andò in processione ad accoglierlo.

Forse la testimonianza più antica che parla  dell’arrivo e della presenza a Lipari del corpo di San Bartolomeo è quella di San Gregorio di Tours, vescovo e storico, il quale tra il 572 e il 590 scrive:

“La storia del martirio di Bartolomeo narra che egli patì in India [ secondo altre versioni: in Asia]. Dopo lo spazio di molti anni dal suo martirio, essendo sopraggiunta una nuova persecuzione contro i Cristiani, e vedendo i pagani che tutto il popolo accorreva al suo sepolcro e a lui rivolgeva preghiere e offriva incensi, presi da odio , sottrassero il suo corpo e, e ponendolo in un sarcofago di piombo, tenuto a galla dalle acque che lo sostenevano, da quel luogo fu traslato ad un’isola che si chiama Lipari, e ne fu data notizia ai Cristiani perché lo raccogliessero: e raccoltolo e sepoltolo, su di questo edificarono una grande chiesa (templum magnum). In questa chiesa è ora invocato e manifesta di giovare a molte genti con le sue virtù e le sue grazie”[1].

La data fa parte anch’essa di una antica tradizione sebbene il primo documento a noi noto, che riporta gli estremi del giorno e del mese, sia – osserva Giuseppe Iacolino[2] – del 1617 e si tratterebbe di un atto notarile di mons. Alfonso Vidal (1599-1617) del 9 giugno di quell’anno mentre l’abate don Rocco Pirri, autore dell’opera “Sicilia Sacra” che fu a Lipari fra il 1627 e il 1644, scrive: “La divina bontà spinse le spoglie di Bartolomeo all’isola di Lipari, e precisamente in un luogo distante dalla città, dove è ancora visibile, sott’acqua, il sarcofago. Così mi raccontano i Liparesi i quali ciò avevano appreso da una tradizione giunta sino ai nostri tempi”[3]. Infine la più antica fonte letteraria che espressamente menziona la baia di Pertinenti è Pietro Campis nel suo “Disegno storico”  che è del 1694[4]. Il Can. Carlo Rodriquez che nel 1841 scrive un  saggio dal titolo “Breve cenno storico sulla Chiesa Liparese”[5] riferisce che  “ Pure dà greci manoscritti conservati nel Monastero di Grotta Ferrata, ed in latino idioma tradotti per le istanze del Can. Agatino di Castiglione tenuti nella Chiesa di Lentini, si rileva che nell’anno 264 era la Chiesa di Lipari governata da santo Vescovo per nome Agatone. Si dice, che in quell’epoca fosse approdato ai nostri lidi il corpo di  S. Bartolomeo Apostolo a 13 febbraio com’è contestato dall’Ugelli, da S. Teodoro Studita, da S. Gregorio vescovo di Tours e dal Pirri ricordato…”.

Il Vescovo Agatone I è una figura storica?

Stando a queste pie tradizioni e comunque alla leggenda dell’arrivo di San Bartolomeo a Lipari che si sarebbe sedimentata nel corso dei secoli, il 13 febbraio del 264 d.C.  la Chiesa di Lipari era già costituita almeno da qualche tempo ed aveva un suo Vescovo Santo Agatone che la tradizione vuole fosse il primo vescovo di Lipari. Lo stesso Rodriquez riconosce che “ Nulla di reale si conosce dello primo Vescovo di questa Chiesa, si bene della sua morte successa l’anno 313 secondo il Maurolico nella sua Storia della Sicilia, essendo egli in età di 90 anni a dir di Pietro Campi. Non abbiamo altre notizie  di Vescovi che questa diocesi governarono dopo S. Agatone, né dalla Storia di Sicilia Sacra si rileva cosa alcuna, che anzi essa ci mostra il vuoto di anni 217 fino a che venne a reggerla Augusto nel 501”.

Si può pensare che anche a Lipari già fin dei primi decenni della nuova era si sentiva parlare della nuova religione magari in modo confuso e mischiato con elementi delle cosiddette “religioni della salvezza” che adoravano Demetra e Dionisio.

Ma la storia è fatta di documenti certi e Bernabò Brea[6] sulla base dei documenti può scrivere che  “Lipari è stata assai per tempo sede vescovile. E’ del tutto inconsistente, dal punto di vista storico, un primo vescovo, Sant’Agatone, che risalirebbe al III secolo, al tempo cioè della persecuzione di Valeriano. La sua figura è probabilmente immaginaria. Il nome sarebbe stato preso da quello del vescovo, assai più tardo, ricordato da San Gregorio Magno, l’unico dei primi vescovi di Lipari il cui nome fosse ricordato da fonti letterarie. Sant’Agatone compare infatti solo in fonti tarde e criticamente inattendibili e cioè nel complesso di leggende composte fra il VII ed il IX secolo, che fiorirono intorno ai santi martiri di Lentini Alfio, Cirino e Filadelfio. Il primo vescovo di cui si abbia notizia certa è Augusto che partecipa a due concili tenuti a Roma al tempo del Papa Simmaco: il primo nell’ottobre  501, per giudicare la contesa fra Papa Simmaco e l’antipapa Lorenzo; il secondo, del Novembre 502, convocato da Simmaco a proposito di una legge di Odoacre, che si era arrogato diritti sull’elezione del Papa e sull’amministrazione di beni ecclesiastici. Il  Duchesne[7]  osserva peraltro che il vescovado di Lipari deve essere assai più antico di questa prima data in cui è documentato. Ritiene infatti poco verosimile che nei tempi tristi e torbidi del V secolo si siano fondati vescovati in queste regioni d’Italia e ritiene, come quasi dimostrato, che ogni vescovato constatato prima della guerra gotica, vuol dire prima del 525, deve risalire almeno al IV secolo più o meno inoltrato”.

Se uno studioso del prestigio di Bernabò Brea solleva forti dubbi sulla storicità del primo Agatone vescovo ma sembra accogliere la tesi del Duchesne che in qualche modo riporta la data delle diocesi di Lipari agli inizi del 300  ci pare doveroso chiederci: ma allora a quando risale l’avvento del Cristianesimo a Lipari e la costituzione di una Chiesa Liparense? Ed proprio vero che il S. Agatone dato come primo vescovo di Lipari sia una figura leggendaria confusa con l’Agatone di cui parla S. Gregorio Magno alla fine del VI secolo?

Per sapere che la Chiesa esiste a Lipari ben prima del 501 abbiamo testimonianze epigrafiche cristiane in lingua greca. E’ della seconda metà del V secolo una scritta marmorea epigrafe per la morte di una giovane ventenne chiamata Proba  dove si parla dell’esistenza della “Santa e Cattolica Chiesa dei Liparéi”. Un’altra epigrafe riguarda un fedele morto nel 470. La lapide è oggi al Museo di Lipari  e proviene dall’area di Sopra la Terra o Maddalena. Una terza epigrafe è quella di Asella che risale al 394 che rivela moduli culturali e di costume così squisitamente cristiani da far pensare che quando essa fu scritta il cristianesimo fosse presente a Lipari da almeno un secolo. Ed a questo punto che ci chiediamo se sia del tutto inconsistente la figura di Agatone I. Proprio il Duchense,nel passo citato da Bernabò Brea, continua : “Potremmo giungere sino alla metà del sec. III se fosse prudente fidarsi della leggenda bizantina di Leontini”[8]. E proprio su questa leggenda dobbiamo puntare la nostra attenzione.

La leggenda di Lentini

Questa leggenda di Lentini si chiama “Passio de Sanctis Matyribus Alphio, Philadelphio, Cirino Leontinis in Sicilia”[9]e parla del supplizio di tre martiri fra il 254 e il 259 al tempo delle persecuzioni dell’imperatore Valeriano, scritta dal monaco siculo-greco Basilio nel 964. A parte il fatto che narra di fatti accaduti ben sette secoli prima, presenta numerosi problemi di critica legati alla scarsa attendibilità di ciò che vi è narrato e descritto: pletorica la massa dei personaggi, troppi i misteriosi interventi dall’alto e le guarigione miracolose, frequenti le fantasiose apparizioni di santi amplificate sino all’inverosimile. riesce a convincere

Comunque il riferimento al vescovo Agatone collocato nella fase delle persecuzioni di Diomede è preciso: “C’era nell’isola dei Liparitani un Vescovo che si chiamava Agatone, uomo pio, timorato di Dio e abbastanza erudito nelle Sacre Scritture. Ora siccome con violenza grandissima e con enorme ferocia l’empio Diomede perseguitava  colà i cristiani e ne uccideva molti, costui cercò anche del Vescovo Agatone per dargli la morte. Però Iddio il quale conosce ogni cosa prima che avvenga, dispose anche questo fatto straordinario : il beato Agatone, vedendo quel che avveniva in quest’isola e nelle altre isole vicine dove i ministri del demonio uccisero tutti i Cristiani, consultatosi con i principali cittadini, abbandonò il suo paese e con tre serventi s’imbarcò su un vascello e navigò verso la Sicilia…”.

Agatone sbarca ai piedi del monte Téreo e trova rifugio  in una spelonca sulle pendici del monte e qui incontra Alessandro, braccio destro del prefetto Tertillo, che era caduto in sospetto al tiranno perché aveva cercato di salvare dalla morte Alfio, Filadelfio e Cirino e deve fuggire. Agatone istruisce Alessandro nella cose della fede e lo battezza imponendogli il nuovo nome di Neofito. Più tardi gli conferisce il presbiterato e lo propone vescovo di Lentini. Il tiranno Tertillo muore trucidato personalmente dai tre fratelli martiri S. Alfio, S. Filadelfio e S. Cirino discesi dal cielo. Così la Chiesa ritrova la sua  libertà e a Lentini la popolazione si converte per opera di Agatone e procede nel suo cammino di fede sotto la guida sapiente del giovane vescovo Neofito.

“Dopo alcuni giorni i primi cittadini di Lipari e altri del Clero, avendo per divina rivelazione saputo che il beato Agatone era in Mesopoli di Lentini, presi da grande nostalgia, vennero alla casa di Tecla, e a lui dicono che la persecuzione contro i Cristiani è cessata e che essi ormai vivono tranquilli”.

Al di là della prolissità del racconto e le iperboliche digressioni del narratore, secondo lo storico benedettino Domenico Gaspare Lancia di Brolo, vissuto nel XIX secolo “ l’autore di questi atti non abbia fatto altro se non stendere, nei medesimi luoghi dove avvennero i fatti narrati, le tradizioni che, poche scritte e molte orali, correvano su questi santi nella stessa Lentini, però, allargandole e infiorandole con discorsi e dettagli che, sebbene esagerati, non dovevano essere privi di fondamento: perciò ritengo questi atti, con tutti i loro difetti, essere tanto più preziosi per la nostra storia quanto ogni altra memoria di quell’epoca è perita”.

E qual è la verità di fondo che si può ricavare da questa leggenda?:  1. Che esiste un vescovo che è fuggito per paura di fronte ad una persecuzione di cui esistono riscontri storici, come riscontri storici esistono della successiva pacificazione ai tempi dell’imperatore Gallieno il quale ai cristiani restituì beni patrimoniali e libertà di culto.  2. Se uno degli scopi di Basilio era quello di rievocare la genesi della Chiesa  Leontinese perché, con la sua fervida fantasia, non fece risalire quella Chiesa a quella di Siracusa che, rispetto alla periferica Chiesa di Lipari, vantava più nobili memorie e più solide tradizioni? Evidentemente – osserva il prof. Giuseppe Iacolino – il ruolo che nella primitiva comunità di Lentini esercitò il vescovo di Lipari – fuggiasco per giunta – doveva avere radici così profondamente storiche da non potere sottacersi o subire alterazioni di sorta.

La storicità di Agatone e la data del 13 febbraio 264

Ed è sulla base di queste considerazioni e di quelle di Duchesne  che si può affermare che le Chiese diocesane sicule nel 251 - quando i diaconi romani inviano loro una lettera - dovevano essere almeno sei e forse otto, cioè quelle medesime che agli studiosi moderni risultano, sulla base di sicuri elementi di prova, attestate tra il IV e le soglie del VI secolo e cioè le Chiese  di Siracusa ( a. 314), di Lilibeo ( a. 417), di Palermo (a. 442), di Taormina ( a. 447), di Catania (a. 447), di Lipari ( a. 501), di Messina ( a. 501).

Oltre a questa osservazione sta il fatto che S.Gregorio di Tours afferma con sicurezza, prima del 590, che il corpo di San Bartolomeo era giunto a Lipari. E ne parla come di un evento già antico. Ancora, siccome le altre tradizioni – San Teodoro Studita e San Giuseppe l’Innografo - tutte collegano questo evento con Agatone certamente non può trattarsi dell’altro Agatone che fu vescovo proprio negli anni in cui scriveva San Gregorio.

Ammesso – a questo punto dell’indagine - che  San Bartolomeo sia giunto a Lipari quando vescovo era Agatone e ammesso che Agatone I potrebbe anche essere una figura storica che governò la Chiesa di Lipari dal 251 al 313 ci sarebbe da chiedersi come mai è rimasta nella memoria una data così precisa : non solo l’anno ma anche il mese e il giorno.

Per quanto riguarda l’anno, se riconosciamo il collegamento con Agatone I qualsiasi anno diventa plausibile se compreso fra il 251 ed il 313. Se poi consideriamo che in tempi assai vicini al 260 in alcuni territori dell’oriente ferveva un clima di livore antiromano ed anticristiano mentre in occidente l’imperatore Gallieno (260-268) istaurava un’era di pacificazione religiosa, la data del 264 potrebbe essere probabile.  Quanto al mese e al giorno Iacolino[10] avanza una tesi. Nell’Italia romana  era diffusissimo il “culto dei padri” che ordinariamente venivano onorati nelle feste “parentalia”. Le parentalia si celebravano dal 13 al 21 febbraio mentre a partire dal secolo IV, in onore del Genius del popolo romano (genius loci) si tenevano giochi per  due giornate consecutive, l’11 e 12 febbraio. Si potrebbe ritenere che a Lipari fosse praticata almeno una delle sue celebrazioni, forse quella del Genius loci ( l’11 e 12 febbraio) e che, conclusasi tale festività pagana, i fedeli dell’isola facessero commemorazione del loro Genius loci, di stampo cristiano, che era impersonato dall’Apostolo San Bartolomeo. Non ci volle molto, in seguito, a motivare l’adozione di codesto giorno facendolo “derivare” dal presunto giorno dell’arrivo del Sacro corpo a Lipari.

Più facile è invece immaginare come avvenne il viaggio descritto dalla leggenda in un periodo in cui si era sviluppata nella cristianità un’ansia per il recupero delle “memorie” storiche della loro religione. E questo anche perché circolavano notizie e racconti sulla profanazione delle tombe dei martiri. Così non solo i corpi dei santi erano ardentemente ricercati affinchè agevolassero la finale salvezza dei devoti, bensì si tendeva anche a recuperare frammenti di ossa, oggetti, stoffe e vestimenti che con quei corpi erano venuti a contatto, perché a tutte codeste “cose” si diceva erano state trasmesse le virtù carismatiche e taumaturgiche dei rispettivi santi.

Si può supporre – osserva sempre Iacolino[11] - che non lontano dall’arcipelago, nell’ambito del basso Tirreno, nel III secolo che potrebbe essere anche il 264, ad una nave liparea, con equipaggio cristiano, venne fatto d’accostare una nave forestiera. Era un accadimento consueto che al largo si facessero di questi incontri e ne conseguisse di combinare un baratto di mercanzie. E con somma loro sorpresa i marinai nostri appresero della “disponibilità” di un “carico” di corpi santi che, con ogni probabilità, erano perfettamente mummificati e composti in rozze arche di legno oppure  – cosa che ci pare più verosimile – doveva trattarsi di resti ossei, numerosi e d’una certa consistenza, crani compresi, opportunamente sistemati, tra sete e porpore, in grandi teche a loro volta impreziosite da ornamentazioni metalliche.

Forse erano resti di oscura provenienza, ma si giurava dall’altra parte, essere stati pietosamente recuperati o trafugati sui lidi d’Oriente; martiri antichi, dicevano, e martiri recenti; vittime delle persecuzioni antiche e remote ma anche di quelle prossime. E’ da ritenere che l’equipaggio lipareo, una volta espressa la sua opzione per il corpo dell’Apostolo, abbia scortato l’imbarcazione forestiera sino alla propria isola e qui, nella rada di Pertinente, in tutta riservatezza, abbia avuto luogo lo sbarco e la consegna del prezioso carico. Dopo di che gli stranieri andarono per la loro strada forse verso altri lidi per consegnare altre reliquie. ( da www.archiviostoricoeoliano.it )


[1] Gregorius Turonensis, Liber de gloria Martyrum, PL, LXXI, col.734.

[2] G. Iacolino, Le isole Eolie nel risveglio delle memorie sopite ( Il primo millennio), Lipari, 1996, pag. 97 e ss.

[3] G. Iacolino, op.cit. pag.103. R. Pirri, Sicilia Sacra, tomo II, p.660.

[4] P. Campis,Disegno Historico della nobile e fedelissima Città di Lipari. 1694. A cura di Giuseppe Iacolino, Messina, 1991, pag. 161 “…e proprio dove si chiama Porto di Genti, et oggi corrottamente Portoniente”

[5] Can. Carlo Rodriquez, Breve cenno storico sulla Chiesa Liparese, Palermo, estratto dal Giornale letterario, n. 225 e 226, 1841, pag. 5 e 6.

[6] L. Bernabò Brea, Le Isole Eolie dal tardo antico ai Normanni, Ravenna, 1988, pag. 14-15.

[7] Mons. L. Duchesne( 1843- 1922  archeologo e storico della Chiesa.

[8] G. Iacolino, Le isole Eolie…, op.cit. pag. 72. Questa importante dichiarazione del Duchesne è contenuta in una lettera scritta nel 1912 al prof. Carlo Alberto Garufi che ne parla nel suo saggio “Le Isole Eolie a proposito del ‘Constitutum’ dell’Abate Ambrogio”, in “Archivio storico per la Sicilia orientale”, anno IX – 1912, pag. 159.

[9]  Un ampio estratto di questa leggenda è in G.Iacolino, Le isole Eolie…, op.cit. pagg 72-85.

[10] G.Iacolino, Le isole Eolienel risveglio delle memorie sopìte. Il primo millennio cristiano  pag. 116.117.

[11] G.Iacolino, op.cit. ,pag. 112-113.

 

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